FILM

Proposte cinematografiche legate al tema della memoria 

 

Nell’ambito del progetto #DAREVOCEALLAMEMORIA, durante le ore di formazione a cui hanno partecipato i ragazzi degli istituti coinvolti, sono stati proiettati alcuni spezzoni cinematografici legati al tema dell’ Olocausto, della memoria e delle discriminazioni razziali.

ANITA B

TRAMA:

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, Anita rimasta orfana, è accolta in casa della zia paterna Monika nella città di Zvíkovské, in Cecoslovacchia. La giovane ebrea di origini ungheresi è sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, dove ha visto in prima persona le atrocità della guerra.

Anita viene fin da subito trattata con freddezza dalla zia Monika che le proibisce di parlare della sua esperienza nel campo di concentramento e le vieta di uscire di casa, dato che, la ragazza non possiede i documenti d’identità validi. Ciò nonostante, invitata dagli zii che confidano nella confusione, una sera partecipa a una festa. Durante i balli due poliziotti, si accorgono che la ragazza è un’ungherese, e dopo un rapido controllo scoprono che non è in regola e la arrestano. Anita rimane in carcere per alcuni giorni fino a che non ottiene i suoi documenti.

Anita comincia a lavorare in una sartoria, dove fa amicizia con David, un giovane collega della fabbrica. Nel frattempo tra Anita e Eli, il cognato di sua zia, inizia una tormentata storia d’amore. Un giorno Anita scopre di essere incinta quando rivela a Eli il suo stato, il giovane uomo non reagisce come la ragazza si aspetta e decide di portare l’amante a Praga per farla abortire. Anita è riluttante, ma lo segue ugualmente fino a Praga, poiché crede di essere innamorata. Al momento dell’intervento, il medico si rende conto che Anita vorrebbe tenere il bambino e le somministra un calmante per simulare un’anestesia, la congeda e le riconsegna il denaro sborsato da Eli per l’aborto. A questo punto la ragazza, tornata con Eli nella loro stanza d’albergo, ha un’accesa discussione con il ragazzo che esce chiudendola a chiave all’interno. Anita, capendo finalmente di non essere amata da Eli, scappa saltando dal balcone e raggiunge il centro di accoglienza per ebrei della città, dove sa che vengono organizzati viaggi verso Marsiglia, per poi salpare verso la Palestina. La giovane, infine, riesce a partire assieme ad altri ragazzi ebrei per raggiungere Gerusalemme, dove c’è David, e, sul camion che la porterà a Marsiglia, viaggia serena verso il passato del suo popolo con un solo bagaglio: il suo futuro. 

RACE – IL COLORE DELLA VITTORIA

 

 TRAMA

Jesse Owens è un velocista e saltatore in lungo statunitense, noto per la sua partecipazione ai Giochi Olimpici del 1936 che si svolsero a Berlino nel 1936. Alle Olimpiadi divenne campione di atletica leggera, vincendo quattro medaglie d’oro: nei 100 metri, salto in lungo,  i 200 metri e la staffetta 4×100 metri. Record di medaglie vinte nell’atletica leggera in una stessa olimpiade, che fu eguagliato soltanto dal connazionale Carl Lewis a Los Angeles nel 1984, vincendo nelle stesse categorie. Fatto emblematico di quell’Olimpiade avvenuta nel cuore della Germania nazista di Hitler fu che al momento della cerimonia di premiazione sul podio, il Führer abbandonò il palco d’onore ignorando il successo dell’afroamericano reo di aver sconfitto il tedesco Luz Long.

La vittoria delle quattro medaglie d’oro diede il pretesto alla stampa di tutto il mondo di trattare di un caso discriminatorio di cui rimase vittima l’atleta statunitense. Una volta rientrato negli Stati Uniti Owens venne obbligato ad entrare dal retro nel ristorante in cui si svolgevano i festeggiamenti per le sue vittorie, nonostante le proteste del suo allenatore.

I fatti trattati nel film si concentrano sulla versione ufficiale esposta dai media, ma l’autobiografia dello sportivo raccontò anni dopo che la vicenda si svolse diversamente, che incontrò Adolf Hitler e che il capo di stato tedesco scambiò con lui una stretta di mano e poche parole. Owens conservò gelosamente per molti anni una fotografia che immortalava l’evento. In realtà il fatto che ferì profondamente Jesse Owens fu il mancato invito alla Casa Bianca del presidente dell’epoca Frankin Delano Roosvelt.

OLIMPIADI CITTÀ DEL MESSICO 1968

TRAMA:

Il 16 ottobre 1968 nello stadio Olimpico di Città del Messico i velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella finale dei 200 metri alle Olimpiadi. Smith era riuscito a stabilire il nuovo record del mondo, correndo 200 metri in 19,83 secondi, con un tendine infortunato e nonostante avesse corso gli ultimi 10 metri alzando le braccia. Carlos, con i suoi 20,10 secondi, era arrivato dietro al corridore australiano Peter Norman.

Dopo essere saliti sul podio per la premiazione Smith e Carlos ricevettero le medaglie, si girarono verso l’enorme bandiera statunitense appesa sopra gli spalti e aspettarono l’inizio dell’inno. Quando le note di The Star-Spangled Banner risuonarono nello stadio, Smith e Carlos abbassarono la testa e alzarono un pugno chiuso, indossando dei guanti neri. A decine di metri di distanza, il fotografo John Dominis scattò loro una foto che sarebbe diventata una delle più famose del Novecento, simbolo di un decennio di proteste per i diritti civili dei neri.

Smith e Carlos furono spinti a organizzare la protesta da una campagna del sociologo di colore Harry Edwards, che l’anno prima aveva fondato l’Olympic Project for Human Rights (OPHR), un’organizzazione anti-segregazione che esortò gli atleti neri a boicottare le Olimpiadi di Città del Messico. Il piano originario di Edwards non si realizzò ma Smith e Carlos, due tra i più forti velocisti del tempo, decisero comunque di preparare meticolosamente un gesto simbolico nel caso avessero vinto. I due scelsero diversi accorgimenti simbolici per partecipare alla premiazione, avrebbero poi spiegato in seguito: ci andarono scalzi e con delle calze nere, per rappresentare la povertà degli afroamericani; Smith indossò una sciarpa nera, mentre Carlos si sbottonò la tuta per dimostrare solidarietà ai lavoratori americani; al collo portava invece una collana di perle, per simboleggiare le pietre usate nei linciaggi degli afroamericani. Carlos però quel giorno dimenticò i suoi guanti, così Smith gliene prestò uno: è per questo che alzarono braccia diverse. Alla loro protesta si unì discretamente anche l’atleta che arrivò secondo, Norman, che indossò una spilla dell’OPHR. Durante la premiazione, sullo stadio scese un silenzio assoluto.

Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) chiese subito l’esclusione di Smith e Carlos dal villaggio olimpico e la loro sospensione dalla squadra americana, per aver fatto una manifestazione politica alle Olimpiadi. All’inizio il Comitato Olimpico degli Stati Uniti si rifiutò, ma dovette adattarsi di fronte alle forti pressioni del CIO, che era presieduto dallo statunitense Avery Brundage, un personaggio controverso. Nel 1936, quando era già a capo del Comitato Olimpico statunitense, Brundage si era opposto al boicottaggio delle Olimpiadi ospitate dalla Germania nazista.

DISCORSO ALL’UMANITÀ DI CHARLIE CHAPLIN, nel film “il Grande Dittatore”

“Mi dispiace. Ma io non voglio fare l’imperatore. No, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno; vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre; dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica. Ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotto a passo d’oca a far le cose più abiette.

Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità. Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità, la vita è violenza, e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti.

La natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne, bambini disperati. Vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente.

A coloro che mi odono, io dico: non disperate, l’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero. L’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano, l’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi sfruttano! Che vi dicono come vivere! Cosa fare! Cosa dire! Cosa pensare! Che vi irreggimentano! Vi condizionano! Vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un’anima!

Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore. Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate coloro che odiano solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù! Ma la libertà!

Ricordate, Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere: mentivano, non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. I dittatori forse son liberi perché rendono schiavo il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse! Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere! Eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza! Combattiamo per un mondo ragionevole; un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!”

Discorso all'Umanità del Grande Dittatore

Charlie Chaplin